Io sono un paragone.

Il gioco più perverso che siamo soliti mettere in campo, nelle dinamiche sociali, è quello di osservare, con sagace spirito critico, l’agire di chi ci circonda. Così, con lieto e spassoso fare, diveniamo amabili o aspri giudici, capaci di sentenziare senza scrupolo, con tagliente o ingenua ironia.

Ci piace guardarci intorno, prendere le distanze, osservare, analizzare con meticoloso dettaglio, per effettuare comparazioni ed ottenere la giusta misura dei nostri credo e dei pensieri ricorrenti.

L’uomo non è in grado di autodefinirsi senza un termine di paragone.

Sin dall’infanzia, sa di dover fare i conti con uno sterminato stuolo di individui, pronti a mostrargli qual è il modo “giusto” di vivere. Dapprima i genitori lo incanalano in uno strettoia, con il miglior intento di renderlo un bambino “educato” e sano. Subito dopo, la scuola apre le porte ad uno stile competitivo e giudicante, ponendolo innanzi ad una “corte suprema”, pronta a formulare diversi verdetti, giorno dopo giorno, anno dopo anno.

In seguito, viene immesso in ingranaggi sempre più contorti e stretti: il mondo del lavoro, l’alternarsi di amicizie, il susseguirsi di rapporti sentimentali. La vita appare come un caotico percorso, ove l’esterno impatta sull’interno senza alcuna pietà, mostrando tutta la sua sottile perfidia. Sembra abbia come unico obiettivo quello di soppiantare l’essenza umana, sino al suo più fragile osso.

Siamo dei piccoli Pinocchio, plasmati da un Geppetto sapiente, armato di intenti benevoli (!?). Siamo buffi burattini pronti a mentire pur di godere dei piaceri della vita. Siamo simpatiche marionette in attesa della fata Turchina, l’unica che, con un tocco di bacchetta magica, potrà svelare chi siamo “davvero”, gettando via la falsa e stantia superficie di legno.

Questo è il triste, eppur realistico, scenario nel quale siamo quotidianamente immersi. Siamo il risultato di un feedback costante. Ci percepiamo secondo le caratteristiche che ci raccontano dall’esterno.

Ci sentiamo come gli altri ci vedono. Ci vediamo come gli altri ci vogliono.

Ma in fondo, CHI SIAMO VERAMENTE?

Per divenire artefici di questa scoperta, che ci riguarda in prima persona, non dobbiamo fare altro che il più semplice e scontato dei gesti: “guardarci allo specchio”.

Partendo dal presupposto che la realtà circostante non è altro che un enorme specchio, in grado di riflettere le molteplici sfaccettature individuali, possiamo ricostruire il VERO IO attraverso un cammino fatto di osservazione, dapprima comparativa e successivamente isolata ed asettica.

Spesso disistima o profonda insicurezza, portano a percorrere strade ed atteggiamenti già tracciati, al fine di deresponsabilizzarsi e omologarsi, per liberarsi da una presa di coscienza troppo dura da tollerare.

E’, invece, necessario saper vivere, la propria quotidianità, svuotandosi dal sistema di “credo” che ci viene imposto.


Quindi i primi passi potrebbero essere questi:

1) OSSERVARE L’ESTERNO

2) CONFRONTARLO CON IL NOSTRO PERCEPITO

3) LIBERARCENE!!!

4) GUARDARE IL NUOVO SCENARIO

5) SCOPRIRE LA NOSTRA VERA ESSENZA, QUELLA “LIBERA” DA CONDIZIONAMENTI ESTERNI.

Un cammino non semplice, dal risultato stupefacente!

 

Rifletti 😉
Donatella Di Mauro

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