Esiste un aspetto della nostra esistenza, incontrovertibile e, al momento, immutabile. È una torre di Babele riportata, in modo costante, nel nostro vivere odierno. Sto parlando della “mal-comprensione” o meglio, dell’impossibilità dell’essere umano di capire il prossimo e di farsi capire. Ritengo questo sia quasi un assioma di base, una consapevolezza che dovremmo avere tutti, a prescindere, nessuno escluso.
Intorno al concetto di mal-comprensione ruota un sistema fatto di ingranaggi, a volte molli, spesso arrugginiti; una macchina che si ostina ad andare avanti pur nella totale distorsione di tutti i suoi meccanismi basilari.
Al di là dei confini geografici e linguistici, la nostra terrà è popolata da una massa eterogenea di “cyborg dotati di cuore” (non tutti!), con paraocchi graduati, con pesi e misure diverse: ognuno diretto verso il cammino personale.
L’accettazione della singola diversità è sicuramente il primo passo verso il perseguimento di una, tanto ambita e sospirata, “UNITÀ”. Finché continueremo a sottolineare ciò che ci distingue, escludendo conseguentemente ciò che ci accomuna, non faremo altro che favorire il perverso gioco della separazione, il filtro della dualità, quello che, tuttavia, ci sprona ad evolvere e ad andare oltre.
L’uomo, nel tempo, è divenuto un esperto nell’arte del confronto, a volte aspro e acceso, altre volte pacato e funzionale.
I social network di oggi, specchio nitido e lampante di una umanità desiderosa di esprimersi, non fanno che sottolineare convinzioni, valori, pensieri, il più delle volte in acerrimo contrasto tra loro. Nondimeno, dilagano lamentele, giudizi, critiche e divergenze. Foto, immagini, frasi, racconti, pongono in evidenza un uomo che si identifica più nel fare e nell’apparire che nell’essere. Un individuo che riesce a riscoprire se stesso solo attraverso l’identificazione ed il confronto. La professione svolta, ad esempio, si trasforma in un paradossale vantaggio competitivo se stimata ed apprezzata dal pensiero comune. Ancor più, il “bello” e la “bella” che amano mettere in mostra le loro “apprezzabili” doti attraverso il dilagante meccanismo dei selfie. Costoro, spesso guidati dalla distorta speranza di raccogliere bidonate di “mi piace”, non fanno che rafforzare un sistema alimentato dagli ingranaggi dell’apparenza, aggrappato a folli condizionamenti. Quei condizionamenti che hanno determinato le linee del “bello” e del “brutto”[e non solo!], tramandati di generazione in generazione, dall’impatto energetico imponente eppur disposti ad essere disfatti e/o revisionati.
Quegli stessi condizionamenti che, intrappolandoci in modo velato e subdolo, ci stringono in una morsa mentre crediamo di muoverci nel libero arbitrio. Il condizionamento, come tale, condiziona: ti offre una via, una scelta. La scelta predeterminata non genera libertà. Se ti chiedo “preferisci il bianco o il nero?” non ti sto certo offrendo la possibilità di guardare oltre, e spaziare verso la gamma di tanti altri colori. Rifletti su questo aspetto e su quante scelte “pre-impostate” sei costretto a fare, quotidianamente!
Allo stesso tempo, l’occhio attento e guardingo, è capace di scorgere anche un’altra fetta di umanità, desiderosa di ritrovare un unico punto di unione, appassionata e straripante nel suo tentativo di dare una forma univoca ad una realtà che tenta (quasi invano) di aggrapparsi ad un passato che, inesorabilmente, sta ormai lasciando il passo a qualcosa di nuovo.
In questa apparente separazione, colta dall’alto, che vede due fazioni contrapposte, eppure unite, l’arte di saper dialogare e interagire in modo flessibile e fluido, diviene una caratteristica predominante ed essenziale.
In questa comunità di individui che si aggrappano, si spingono e respingono, che si sostengono e attraggono, è bene trovare una modalità in grado di racchiudere, in un unico grande abbraccio, ciò che apparentemente gode del vezzo della diversificazione.
Non tutti devono necessariamente essere d’accordo sullo stesso punto di vista. NON ESISTONO VERITA’ ASSOLUTE. È funzionale, nonché spinta alla crescita, il sapersi adattare alle modalità percettive di chi sentiamo distante da noi. È appagante saper accogliere la diversità, con l’intento di integrarla ai nostri programmi percettivi. È motivo di sviluppo il saper leggere con gli occhi di un altro e allargare le maglie del proprio panorama esistenziale. Al bando le categorizzazioni e le stigmatizzazioni della collettività. Impara anche tu ad ACCOGLIERE tutto ciò che senti diverso e lontano da Te.
Accoglierlo non significa condividerlo o accettarlo. Il saper “accogliere in sé”, indica la capacità di integrare “l’altro” all’interno di uno spazio che contiene la TUA VERITA’: tale spazio è così ampio e flessibile da poter racchiudere TUTTO.
Accogliendo ciò che giudichiamo e selezioniamo, non facciamo altro che compiere un primo passo verso una più grande AGGREGAZIONE. Creiamo una forma di fusione, forte e vigorosa, che ci porta ad essere UNITI verso una stessa meta. Paure, limiti, guerre, inganni, sotterfugi, insicurezze … potrebbero, in questo modo, fuggire via, lasciando il posto a gioia, felicità, sicurezza, energia, entusiasmo, ilarità e … voglia di vivere insieme! 🙂
Donatella
le stesse cose le aveva dette, prima di Pirandello, e con molto maggiori tragicità e umorismo, Sterne. Anzi, sembra che Pirandello sia la negazione di quello che dici, quasi un ostacolo frapposto. Ma tu prendi sul serio Pirandello (come io prendo sul serio Sterne)